lunedì 18 dicembre 2017








STEMMI IN VERONA SANT’ANASTASIA 30) ARMA BOLDERIO


Seguire questo stemma sulle pagine del De Betta, conduce a un ginepraio. Si parte con un Boldesio o Boldieri, la cui descrizione parla proprio di questo sarcofago (foto 1) in Sant’Anastasia (a sinistra della porta maggiore), attribuito a Gherardo. Prima cosa che non capisco: perché il dubbio sul cognome, che proprio in questo reperto è chiarito dalla lapide sottostante (foto 2), cioè Bolderio? Secondo dubbio: il De Betta dice di quest’arma: “è all’aquila coronata”. Lasciando perdere la sintassi (uno stemma “all’aquila coronata”?)…E il giglio in destra araldica? Non citato. L’autore pensa di risolvere con la voce successiva, dicendo: “Boldieri: in pietra rilevata su suddetto sarcofago. E’ un giglio”. Che devo capire? Forse che i nipoti Francesco e Matteo, committenti del monumento funebre, provenissero da due rami diversi, con diverso stemma (in questo caso però rimarrebbe da chiarire a quale ramo sarebbe appartenuto il buon Gerardo). Sempre stando al De Betta infatti, le testimonianze relative al giglio dei Bolderio sono numerose in Verona, ma si chiarisce anche che tale famiglia possedesse nei pressi di Sant’Anastasia un palazzo detto “dell’Aquila dei Boldieri” (ah i bei tempi in cui l’araldica era pane quotidiano J). Terzo dubbio: l’autore sostiene che nella lapide sottostante il sarcofago (sempre foto 2) si veda il giglio di famiglia. Se lo vedete voi fatemi sapere. Forse è quella protuberanza tra la la D e la M?  Lo ritengo probabile. Sempre stando al De Betta, il Gianfilippi blasonava un giglio rosso in campo argento. Ma non è finita qui. A fianco dell’aquila e del giglio compare un terzo stemma (terza voce “Boldieri”, del De Betta) in cui in campo rosso compare uno scaglione accompagnato in punta da un giglio (rieccolo), il tutto d’argento. Qua la derivazione di altro ramo rispetto all’originario apparirebbe più chiara, stante l’utilizzo del giglio, sebbene subordinato ad altra figura principale, e la conservazione dei medesimi smalti. Quest’arma era già utilizzata almeno a fine ‘400 (il De Betta ne cita una appartenuta a Francesco, del 1494


Ogni tanto è bene ricordare che l’opera di Ottone De Betta, del 1923, è facilmente consultabile grazie alle fatiche di Giorgio Giulio Sartor, che l’ha trascritta e poi pubblicata nel 2015 (Jago ed.). Citare le opere altrui… strana abitudine che sempre più in pochi eseguono, la quale risulta essere, invece, l’unica cosa che distingua il trarre e divulgare nozioni, dal saccheggio.    

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