martedì 31 marzo 2015

 Chi può non manchi questo appuntamento. Le "Razze" sono specie di antiche consorterie di matrice familiare. Per tenere viva questa realtà l'autore del libro ha pensato di creare per ciascuna Razza uno stemma. Si è avverato quel che speravo io nel mio libro Signa (ma di certo non ero l'unico...), di qualche anno fa: invece che pensare a come tenere in vita l'araldica quasi fosse un malato terminale, utilizzare la BUONA araldica per difendere dall'oblio qualcos'altro.

Ho avuto poi la fortuna di chiacchierarne con Maurizio Carlo Alberto Gorra e di vedere in anteprima le immagini che utilizzerà per il suo intervento, e credo che anche stavolta i fortunati che saranno presenti potranno godersi il panorama araldico che ne nascerà. Non che ne dubitassi: i suoi celebri "fili rossi" (i magici collegamenti tra una realtà non araldica e una araldica; tra realtà araldiche disparate o distanti nel tempo e nello spazio...) riescono a condurre per mano l'ascoltatore in maniera impensata e non prevedibile. Alla fine, come ogni buon viaggio, la sensazione di arricchimento è nettamente percepibile.

martedì 17 marzo 2015

I VALIERI/VALERI: STEMMA PARLANTE.
Era il Novembre del 2013, quando nel neonato Caffè introducevo un argomento che amo spiccatamente e cioè quello -in generale- delle armi parlanti(1) e-in particolare- della perdita cognitiva di termini dialettali e non, e di quanto tale perdita possa influire sull’attuale mancata comprensione (comprensione che un tempo doveva invece apparire ovvia) del nesso tra figura inserita in uno stemma considerato e cognome del titolare. Portavo allora l’esempio della famiglia bresciana dei Chizzola e delle “chizzole” (cioè focacce dolci probabilmente pronunciate ‘chisöle, con la “esse” iniziale aspirata) presenti nel loro stemma. Dette focacce, venivano rappresentate correttamente in qualche riproduzione, ma in altre apparivano come generici “bisanti” o addirittura palle con tanto di ombreggiatura, segno, forse, di semplice infedele riproposta artistica, ma forse invece di progressiva incomprensione di quanto si andava dipingendo (o scolpendo). Chissà quanti “bisanti” o “torte” è piena l’Italia o l’Europa che inizialmente non erano tali… (e questo per limitarci a tale figure, senza voler contare quante sono state trasformate, stante la perdita di comprensione del loro significato originario, in qualcos’altro: si veda a tal fine –per esempio- il bellissimo e, come sempre denso, lavoro di Marco Foppoli sullo stemma di Ghedi, intitolato Il bianco scaglione).
Ma non c’è solo il dialetto. Io ad esempio non immaginavo proprio che l’arma dei VALERI (di cui do conto in un paio di foto qui sotto, scattata durante una mia visita al Duomo di Verona, effettuata nel Luglio 2011) fosse “parlante”.
L’ho “scoperto” (sorrido…perché non so quante di queste mie “scoperte” risultino cose risapute e banali per altri, ma il loro numero non dev’essere esiguo…) mentre stavo esaminando, per tutt’altra vicenda (sempre araldica) Il falconiere (Del Falconare/De re accipitraria) di Jacopo Augusto Tuano (di Thou) nella settecentesca traduzione dal latino di Gian Pietro Bergantini. A pag. 10 si parla di un tipo di aquila «…Quod valeat gravibus q; inhiet temeraria praedis Valeriam dixere:/…che perché val di forze, e perché a grandi Prede con voglie temerarie anela, Valeria han detto;».
Chiaro il riferimento all’origine del termine da “Valerius” che come “valente” richiama il valore, la forza, la robustezza. Ma chiaro a quel punto anche il riferimento dell’arma dei Valeri/Valieri a questo tipo(2) di “Aquila Valeria”.
Il mio aggancio allo stemma di tale famiglia veniva poi confermato in glossa dal Bergantini (che ricordiamo traduce dal latino l’opera del Tuano) quando afferma che «potrebbe forse ancor’essere, che questo soprannome di Valeria dato [parola incomprensibile] all’Aquila , per aver essa col suo valore liberata dalla morte Valeria Luperca destinata al sacrificio: del qual fatto riferisce memoria l’Aldr., mettendo anche lib. pr. in considerazione, come la nobilissima famiglia Veneta de’ Valeri, o Valieri , ha per insegna parlante un’Aquila..».
Nelle mie foto è visibile lo stemma del Cardinal Agostino Valeri, vescovo di Verona dal 1565. Gli stemmi però, lo si noterà dal colore del galero e dei fiocchi (che in realtà non collimano, per quanto riguarda il numero, con quanto disposto e codificato in maniera restrittiva in epoca assai più tarda), devono risalire a dopo il 1583, anno in cui (dal 2 Dicembre) fu creato cardinale o dopo il 14 Gennaio 1585, data in cui ricevette il cappello rosso. Nel primo stemma si può osservare la depigmentazione di parte dello smalto rosso presente nella seconda sezione del troncato, mentre il secondo stemma ci restituisce un perfetto troncato d’oro e di rosso, all’aquila al volo abbassato e sormontata da una corona(3) , dall’uno all’altro.
(1) Cioè gli stemmi che contengono figure o comunque elementi che richiamano per assonanza di nome, quello dei loro titolari (le pignatte dei Pignatelli, ad esempio).
(2) Si comprende dal testo che questa “Valeria” è solo uno tra i diversi tipi di aquila: «…e quella, che con forza grande le Lepri adunghia, e leva; e quella che perché val di forze, e perché a grandi Prede con voglie temerarie anela, Valeria han detto;» (Tuano, pagg. 9-10); «Or tra l’Aquile e ben non è una sola d’esse la specie, primo luogo ottiene quella, cui nome derivò dall’oro. Ella brevi ha le gambe […]. Ottima è pure, e di coraggio grande adegua lei quella benché di mole inferiore e benché […] né per lo rostro al par di lei sia forte […] questa appellan Valeria i nostri…» (Ibidem, pagg. 18-19). Da ciò si capisce che la “Valeria” sia un tipo d’aquila che compensa la sua mole inferiore rispetto ad altre specie con il coraggio.
(3) Non vedo il tipo di corona: all’antica?

mercoledì 4 marzo 2015

STEMMA DE "LANOCIA".

SI VEDA ANCHE POST DELL'11 SETTEMBRE 2014 SULLO STEMMA DI NOZZA.

Per i riferimenti al Caffè Araldico, contenuti nel testo seguente, si veda: https://www.facebook.com/groups/211814768987383/







Nel 1440 Bonibello del fu Galvano della Nozza, per meriti verso la Repubblica di Venezia, ottenne in feudo assieme ai fratelli Aldregino e Giovanni le terre di Savallo, Bione, Agnosine, Odolo e Preseglie. Dalle mie parti forse non tutti sanno che il Bonibello era imparentato con i Martinengo, avendo sposato Eleonora, la sorella di Leonardo, non uno qualunque visto che fu il capostipite del ramo dei Martinengo dalle Palle e che suo padre, un altro Leonardo (del ramo di Padernello, soprannominato “Fulmine di guerra” e da cui discese anche il ramo dei Da Barco, per tramite di un altro figlio, Giovanni Francesco) , fu protagonista , insieme al fratello Antonio, delle battaglie tra i Veneziani e i Visconti, tra cui, famosissima e ricordata anche dal Manzoni, quella di Maclodio del 12 Ottobre 1427, che ricacciò i Milanesi al di là dell’Oglio (si confronti lo Stemmario Bresciano di Marco Foppoli, pag. 54 per la storia dell’assai recente stemma di questo borgo che a sua volta fa memoria dell’evento e che ostenta anche la particolarissima figura della “leonessa”, credo un unicum o quasi in araldica, forse richiamo alla Leonessa d’Italia, cioè Brescia, di carducciana memoria, Leonessa d’Italia che però, è bene ricordarlo, ha per stemma tuttora un leone…).
Siccome Bonibello non aveva avuto figli maschi e i fratelli Giovanni e Aldregino non lasciarono eredi, il feudo della Nozza, stava per essere avocato. In tali frangenti Leonardo Martinengo (figlio), come visto, cognato di Bonibello, acquistò la rocca di Nozza nel 1478. Il suo obiettivo era creare i presupposti per acquistare l’intero Feudo dei Della Nozza , cosa di cui fece richiesta, infatti, nel 1483. Interessantissima la digressione di Leonardo Leo nel suo Proprietà, signorie e privilegi: i Martinengo (secoli XIV-XV) , che sta in Famiglie di Franciacorta nel Medioevo a cura di Gabriele Archetti (Brescia, 2000 pagg. 133 e segg.), da cui ho ampiamente saccheggiato, sulle motivazioni ideologiche (vista la zona, non potevano essere quelle economiche, le preminenti) di tale “smania da feudo” che influenzò in tale vicenda l’agire di Leonardo Martinengo.
Della richiesta non se ne fece però nulla: Leonardo morì l’anno dopo di peste (come il padre, nel 1439, prigioniero dei Gonzaga e tradito dai conti di Arco, un tempo legati a lui da stretta amicizia). La Rocca rimase però dei Martinengo.
La breve carrellata che qui propongo è tratta dal manoscritto H.V.5 custodito dalla Civica Biblioteca Queriniana di Brescia (detto Libro dei Privilegi), compilato dal 1471 al 1473. Le pagine proposte (si noti il nome del doge Francesco Foscari, 1373/1457 che rimase in carica per trentaquattro anni, battendo ogni “record” di permanenza) trattano del PHEVDVM NOBILIS D. BONEBELI DE LANOCIA: gli Egregij Galvagnj filiorum furono investiti delle terre di Savallo, Abione, Agnosaegno (Agnosine), Odulo et de Preselijs. La data posta in fine di testo (9 Ottobre 1440) va riferita alla concessione del feudo, e non alla stesura di questa trascrizione, perché come visto il codice in cui è contenuta è stato stilato dal 1471 al 1473.
Quel che più conta per noi è la presenza dello stemma nel margine inferiore della carta 200r, che è identico a quello che tuttora viene considerato “lo stemma della Nozza” di cui ho parlato l’11 Settembre 2014 nel post che ho “riesumato” in questi giorni ponendolo in cima alla finestra del Caffè. Si noti in esso l’intervento di Enrico Stefani che parla proprio dell’atto di infeudazione del 1440. La miniatura alla quale si riferisce (più recente di un trentennio come ribadito) penso possa essere la stessa che qui propongo.
Nella sua tesi sul Ms H.V.5, Andrea Sanzò (Il manoscritto H.V.5 della Bibiloteca Queriniana di Brescia Il rapporto testo-immagine in un codice di privilegi miniato (10 Gennaio 1471) relatore Chiar.mo Prof. Giorgio Montecchi, Anno Accademico 1994-1995; Civica Biblioteca Queriniana Brescia) parla di fascia nera attraversante, e, basandosi solo su questa rappresentazione, non poteva fare altro. La “memoria storica” che invece vuole tale fascia verde (e quindi “rendendo”quella della miniatura, soltanto virata in nero per ossidazione, di cui è stato vittima anche l’argento della prima sezione del troncato, argento però correttamente citato come tale dal Sanzò) è secondo me corroborata dal medesimo smalto (il verde appunto) che si è invece conservato tale nei lambrecchini, anche se tale rimando cromatico stemma/lambrecchini non era un tempo codificato come oggi. Sempre il Sanzò parla di un orso come cimiero, quando invece, lo ricordo, nel post dell’11 Settembre 2014 io do conto di una tradizione popolare che lo vuole come un’orsa.

 Fabio Bianchetti Il Caffè Araldico ®


Altri testi consultati non citati precedentemente: Paolo Guerrini, Una celebre famiglia lombarda i Conti di Martinengo; Floriana Maffeis e Gianmario Andrico (con le straordinarie foto del “nostro” VIrginio Gilberti) L’aquila d’argilla.


Autorizzazione alla riproduzione delle immagini: Civica Bibilioteca Queriniana di Brescia (proprietaria del codice H.V.5), 27/2/15. La riproduzione è riservata a Fabio Bianchetti, non ripubblicare, non condividere le immagini. Testo riutilizzabile citando autore e fonte. Grazie.