mercoledì 7 marzo 2018


VERONA  CIMITERO MONUMENTALE LATO INGENIO CLARIS (FOTO DEL 20 FEBBRAIO 2018): 9 DE  BETTA



Post poco scientifico, quasi sdolcinato, almeno nella prima parte. Tant’è. Il momento per me lo merita, come merita che di lui si scriva in un paragrafo esclusivo (l’avevo annunciato nel primo intervento su questa collana di stemmi del Cimitero monumentale di Verona,c he per un paio di “tombe” avrei sospeso la carrellata comune con due post “singoli”).

L’avessi saputo, sarebbe stata comunque una bella emozione. Immaginatevi a non saperlo. Tra qualche milione di nomi incisi su svariate migliaia di tombe, trovarsi totalmente a caso e dopo neppure venti minuti di visita, di fronte alla lapide commemorativa dei De Betta Inama di Castel Malgolo e su quella, scorgere quasi subito il nome di Ottone de Betta è stata davvero una cosa toccante, quasi scioccante, come fosse stato un richiamo. Immagino che chi abbia letto qualcosa dei miei post veronesi, che pubblico da circa tre anni a questa parte, sappia di chi stia parlando. E’ l’autore di quella raccolta, di inizio Novecento, di stemmi presenti nella città di Verona, dalla quale Giorgio Giulio Sartor ha tratto qualche anno fa il libro che quotidianamente o quasi consulto per i post di cui sopra. Un incontro (permettetemi di chiamarlo così) baciato dal silenzio assoluto di quelle poche e fredde ore mattutine passate nel Monumentale di Verona. Avrei voluto sostare per molto più tempo, senza proseguire oltre.

Ottone, che riporta nel suo stemmario più di settanta stemmi presenti nel camposanto vicino all’Adige, non poteva certo enumerare in esso anche la lapide commemorativa della sua famiglia, di origini trentine. I De Betta furono insigniti di nobiltà per i servigi resi, da Ferdinando I nel 1525 (nella persona di Bonifacio Betta con diritto di successione del titolo). Divennero possessori della torre di Malgolo nel 1584, alla morte di Bona Concinì, moglie di Pantaleone Betta, capostipite quindi del ramo di Malgolo, e cameriere d’onore del principe-vescovo Madruzzo. Fu il padre di Ottone (Edoardo, 1822-1895) a introdursi nella nobiltà veronese dal 1848, quando entrò in possesso dei vasti possedimenti del conte Giovanni Battista Orti-Manara, una volta morta la moglie di questi, e cugina di Edoardo, Teresa. La figura di Edoardo risulta fondamentale per un altro motivo: l’anno dopo (1849) sposa infatti a Trento Maria de Inama (figlia della Contessa Martini di Calliano e del nobile Virgino Inama di Campostellato) cosa che gli agevola l’inserimento nella nobiltà trentina. Come si vede anche nella lapide veronese, da allora il cognome Inama, accompagna costantemente quello De Betta.    (Notizie tratte da Ottone de Betta, Armerista veronese, a cura di G. G. Sartor, Iago ed., 2014. “Note storiche sulla famiglia De Betta” di Marco Pasa).





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