venerdì 28 novembre 2014


URBINO- LE IMPRESE MONTEFELTRO- 4) e 5): LO STRUZZO E LA GRU

 

LO STRUZZO     

Secondo Francesco V. Lombardi (I simboli di Federico di Montefeltro, in Piero e Urbino, cit.) l’impresa più antica di Federico “dovrebbe essere” lo struzzo, “In quanto ereditata dal nonno conte Antonio (m. 1404)” poiché al centro del suo sarcofago è rappresentato l’animale in questione. Il pezzo di lancia nel becco è spiegato dal cartiglio in tedesco antico “ICK KANN VERDAUEN EIN GROSSE EISEN”, cioè “Io posso ingoiare un grosso ferro” e quindi superare qualsiasi avversità. Il Lombardi suggerisce però che “forse” questa frase possa alludere anche al famoso incidente nel torneo del 1451, in cui Federico, a causa di un colpo di lancia (quindi di “ferro”) perse un occhio e diciamo così “acquisì” (c’è chi dice che l’asportazione di un pezzo di osso nasale non fu direttamente causata dal sinistro ma  fu volontaria e che Federico l’avrebbe voluta per poter vedere meglio con l’occhio rimasto. Dato il lavoro che faceva una buona visuale  era piuttosto importante…)il caratteristico e inconfondibile profilo. Non a caso il primo capitolo del “Federico da Montefeltro” di Boeck e Tömmesmann (Cit.) si intitola: Il naso d’Italia…  Da questa tesi però, discenderebbe che almeno “l’anima” (cioè la parte testuale, riportata nel cartiglio) dell’impresa dello struzzo dovrebbe risalire ai tempi di Federico (il “corpo”, cioè il simbolo figurativo, di essa invece come abbiamo visto rimarrebbe comunque antecedente di un secolo, visto che si trova sul sarcofago del conte Antonio).  Non è assolutamente d’accordo su questo il Ceccarelli (Non Mai, cit. ), che, anzi, afferma come l’allusione alla non semplice attività di digerire un grosso pezzo di ferro, rimandi direttamente alla memorabile prodezza del suddetto Antonio di riconquistare Urbino, nella seconda metà del XIV secolo, dopo diciassette anni di esilio. L’autore poi dà contezza dei dubbi che da sempre hanno circondato lingua e senso del motto, dubbi dovuti, a sentire lui (che riporta il parere di non meglio precisati “alcuni”) al fatto che detto motto sarebbe “una mescolanza ortograficamente impropria di antico tedesco e antico inglese”, o, secondo altri, scritto in tedesco in maniera scorretta. Il Ceccarelli riporta altra lettura rispetto a quella da me scritta all’inizio, come ad esempio: “I CAN VERDAIT EN CROC ISEN”, comunque poi ritradotta nell’ ICK KANN VERDAUEN EIN GROSSE EISEN che ho riportato all’inizio. L’autore urbinate avverte poi che lo struzzo appare a volte pure senza cartiglio nel becco, e a volte con quest’ultimo direttamente sostituito dal pezzo di ferro.

LA GRU               
Il Santi diceva che Federico “era sempre vigilante e desto” (Lombardi, cit.). Lo stesso Lombardi pretende che questo verso derivi direttamente dall’impresa della gru e noi glielo lasceremo dire, ché prove al contrario non ne abbiamo. La cosa importante è spiegare il perché: secondo tradizione tale pennuto, anche quando sconfiggeva gli avversari, rimaneva vigile al punto che dormiva soltanto su una zampa, tenendo nell’altra una pietra, in modo che, in caso di sonnolenza e conseguente addormentamento, la caduta della pietra stessa l’avrebbe subito risvegliato. In araldica questo è un particolare non da poco, perché permette spesso in caso di stemmi poco leggibili (o di araldofili poco …leggenti) di distinguere immediatamente tale volatile da qualsiasi altro (struzzo, cicogna, ecc.).  Sempre araldicamente, tale pietra è definita, a ragione quindi, vigilanza (per esempio: d'oro, alla gru con la sua vigilanza sulla pianura verdeggiante, il tutto al naturale, cioè lo stemma del comune di Colturano, Milano).Spero di non sbagliare, ma nella foto  (n.  2) del soffitto dello studiolo in cui appare una specie di compendio delle imprese federiciane (e di cui diremo), è possibile proprio apprezzare la differenza tra gru e struzzo, nella fila più in basso (rispettivamente seconda e quarta immagine da sinistra).  Inutile soffermarsi sugli evidenti parallelismi che si possono trarre dal comportamento del trampoliere, quali la prudenza, l’essere vigili e accorti, il sacrificare il sonno e il riposo del Principe, per proteggere i sudditi, ecc… Ovviamente tali significazioni spiegano il perché dell’assunzione dell’impresa da parte del Duca. Il motto nel becco dell’animale è “Officium natura docet” cioè “la natura insegna il da farsi”. Bella la carrellata della descrizione del trampoliere in vari bestiari medievali, che fa il Ceccarelli nel suo Non mai (cit.). Tra essi notiamo che Richart de Furnival, nel suo Bestiaire d’Amours, si discosta leggermente dagli altri, in merito alla vigilanza: secondo lui infatti il sasso non risvegliava, cadendo e facendo rumore, la gru posta alla sorveglianza delle altre (che invece dormono) colta dal sonno, ma semplicemente non la faceva dormire in quanto non le consentiva un perfetto equilibrio. Ma è, come detto, l’unica voce fuori dal coro: tra testi araldici e non, io ho sempre sentito soltanto la versione del sasso che risveglia il pennuto, cadendo. Concludiamo con gli stupendi versi di Cecco d’Ascoli nel suo L’Acerba (sempre riportati nell’opera del Ceccarelli):
Hanno le gru ordine e signore  
e quella che conduce spesso grida         
corregge e amaestra lor tenore.             
Se questa aranca, l’altra in ciò soccede;              
quando dorme, questa che è lor guida,               
la guardia pone ch’alcun no lle prede.                 
Questa                 che guarda, sta con l’una gamba,                         
nell’altra tien la pietra, che se dorme,                  
cadendoli, de suon l’occhi stramba.      
Così dovria ciascun cittadino,   
l’un co l’altro esser conforme,  
che non venisse lor terre al dichino.       
               



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